Il tempo della res publica

Il tempo della res publica

Il contributo di un nostro lettore.

Condivido in grandissima parte quanto scritto da Rosangela Formenti, così come quanto scritto nel post del 12 marzo #IORESTOACASA… E POI.
Quest’ultimo accennava a questioni interessanti, in parte sviluppate anche nell’altro, che potrebbero essere la base di partenza per discussioni sul futuro bresciano, lombardo e italiano.
Così nasce più tempo per pensare cosa potrà succedere dopo questo sconvolgimento totale”.

Se a livello di intenti e di singoli individui concordo in toto con quanto scritto da Rosangela Formenti, sono convinto che non succederà nulla di discontinuo con un passato di costante degrado sociale e politico.
Condivido tutti i “vorremmo”, ma al tempo stesso vorrei anche che tutto l’aiuto dato dai cittadini “ancora così generosi e civici”, dai volontari e dal personale sanitario non fosse usato dalla politica e dalla burocrazia per non affrontare le proprie responsabilità.

Ad esempio: “Vorremmo che i volontari per un mese diventassero permanenti”.
Vogliamo dire che la generosità ed il volontariato hanno tenuto in piedi un sistema sanitario e di protezione civile che, evidentemente, non è dotato dei mezzi necessari per funzionare come dovrebbe?
Non è un problema che si pone oggi, perché anche in occasione dei terremoti che hanno colpito l’Italia negli anni scorsi sempre la Protezione Civile ha chiesto (ed ottenuto) enormi aiuti dai cittadini e dalle imprese, per poi trovarsi a fare lo stesso alla catastrofe successiva.
L’unica cosa che è cresciuta negli anni è la burocrazia, come si è visto in questi mesi.
Non si tratta di un problema creato da questo governo, perché nelle precedenti occasioni erano al governo anche altre forze politiche, ma il risultato è sempre stato lo stesso.
Molto ci sarebbe da scrivere sull’argomento, a partire dalla nefasta idea di abolire il servizio di leva, anziché riformarlo in un servizio di difesa militare e protezione civile (corresponsabili da un lato forze politiche che si riempiono la bocca di “solidarietà” e tolgono l’obbligo di mettersi per dieci mesi al servizio degli altri, e dall’altro forze che invocano concetti quali Patria e Nazione e tolgono il servizio obbligatorio reso alle stesse).

Altro argomento è l’inadeguatezza dimostrata dalla classe politica a tutti i livelli (dai sindaci – con rare eccezioni nei centri più piccoli – ai presidenti, assessori e consiglieri regionali, ai membri del governo e del parlamento, ai parlamentari europei) e senza distinzione di bandiera.
Spero di essere stato disattento, ma non ricordo di avere letto una norma, né statale, né regionale, che per i prossimi dodici mesi riduca del 50% tutti i compensi (o indennità o comunque li si vogliano chiamare) percepiti da chi ricopra cariche elettive.
Vorrei vedere anche loro, per una volta, “generosi e civici”.
Vogliamo parlare di assessori e ministro della sanità? Un disastro evidente – spero – a tutti.
ATS, ASST, ISS e OSM sono un altro possibile argomento di analisi di ciò che [non] hanno fatto e di che cosa si deve fare per evitare che gli errori si ripetano.
E degli “esperti” che dire? Se ogni volta che c’è un grave problema in Italia si devono nominare esperti, a che cosa servono i papaveri dei ministeri, oltre che a scaldare poltrone e incassare lauti stipendi?
Ma non dimentichiamo, giusto per restare sul pratico, i creatori delle “autocertificazioni”, le cui continue rielaborazioni ci hanno consentito di sorridere anche in questi tristi momenti.
Licenziarli sarebbe il minimo, in un Paese civile.
Come poi non dedicare un pensiero ai “professionisti dell’informazione”, che di questi tempi hanno confermato tutta la propria pochezza e, soprattutto, l’inattendibilità?

Qui mi fermo, ma volendo molti altri spunti si possono trovare.
Con riguardo a tutti quei personaggi faccio mie le parole di Rosangela Formenti: “Teniamo stretto questo insegnamento, riportiamolo nella nostra vita, … e forse, dico forse, questo dannato virus avrà prodotto un cambiamento”.
Con tutto questo ben presente dovremo non solo cambiare il nostro modo di sentire e di comportarci, ma esigere anche che chi, a qualsiasi livello e con qualsiasi mansione, sia chiamato ad amministrare la cosa pubblica abbia ben presenti le sofferenze e gli sforzi che errori, più o meno gravi, più o meno evitabili, più o meno ostinatamente negati di fronte all’evidenza, hanno quanto meno contribuito ad amplificare.
Diversamente sarà stato tutto inutile”.

Prima che tutti ricominciamo a rincorrere i nostri guai, senza più avere il tempo di dedicarci alla res publica, forse di queste cose si dovrebbe parlare.